Settima meditazione del 17 ottobre 2019 (mattino)

La donna di pochi spiccioli – Il dono dell’umiltà

Ha guardato l’umiltà della sua serva (Lc1,48).

Uno sguardo capace di salvare può essere solo quello di Dio. Uno sguardo d’amore, appassionato, compassionevole; uno sguardo che salva che smantellando la povertà, la pochezza della creatura, lungi dall’umiliarla la esalta.

Preghiera iniziale

Spirito di amore e di dolcezza scendi su di noi.

Donaci l’umiltà del cuore, la capacità di rinunciare

a quanto è di ostacolo al nostro cuore

e non ci permette di donare a te tutto ciò che abbiamo.

Spirito di fortezza,

sii sempre vicino a noi

per aiutarci a non dimenticare mai il volto amabile del Padre

premurosamente sollecito a inondarci di serenità e di gioia.

Introduzione

L’evangelista Marco situa l’episodio della vedova che getta nel tesoro il suo obolo nella parte del suo vangelo dedicata al ministero di Gesù a Gerusalemme. Il capitolo 11 si apre infatti con l’ingresso di Gesù nella città santa. Il popolo gli fa festa perché è il messia, ossia colui che libererà Israele dal dominio dell’impero romano. I fatti e le parole di Gesù vanno però in un’altra direzione, la gente comprende che il Nazareno non è un liberatore politico e la città santa diviene per Gesù una città dai tanti pericoli.

Gesù, pur conoscendo l’ostilità dei suoi connazionali, decide di rimanere in città: lì si va non solo a pregare: una volta l’anno si va anche per versare la decima nel tesoro del tempio.

È il tempo di versare l’imposta per il culto, Gesù entra nel tempio e osserva la folla che vi si reca per assolvere quanto prescritto dalla legge. I potenti versano il loro tributo con ostentazione, fanno rumore per farsi sentire e vedere; una povera vedova, timidamente, versa nella cassa del tempio pochi spiccioli, tutto quello che possiede.

Leggiamo il testo.

Lettura del testo

Dal Vangelo secondo Marco (12, 38-44)

In quel tempo, Gesù nel tempio diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Commento

Il libro del Levitico[1], del Deuteronomio[2] e anche dei Numeri[3] prescrivono come norma cultuale l’imposta della decima. Levitico considera questa norma un comando che Dio diede a Mosè (Lv27,34).

La decima è un canone percepito dal padrone del suolo, in questo caso Javhè, che è il padrone della terra. Secondo Deuteronomio, è prelevata dai prodotti della terra e viene portata al tempio (Dt14,22-27; 12,6-7.17-19). Ogni tre anni viene lasciata ai poveri (Dt14,28-29). Secondo Nm18,21-32 essa appare come un’imposta dovuta ai leviti che, a loro volta, ne versano la decima ai sacerdoti, come un’offerta per Javhè. Lv27,30-32 la estende al bestiame. Dt«14,25 e Lv27,31 prevedono la possibilità di assolvere questo obbligo mediante denaro.

Gesù, seduto davanti al tesoro del tempio, osserva come la gente getta denaro nel tesoro: come, non quanto.

 I ricchi, con la loro decima, danno il superfluo e ci tengono a farsi vedere; sono scribi e farisei, i quali amano apparire; passeggiano in lunghe vesti, ricercano i primi posti nella vita sociale, sono avidi di beni: è noto che essi divorano le case delle vedove, insaziabili e spietati.

Gesù in questo momento sta osservando il loro atteggiamento, rivelatore di ciò che portano nel cuore, e vi legge le motivazioni del loro dare: portano molti beni e gettano molte monete: i verbi che li possono descrivere? apparire, salirecomandare, avere. Sintomi di una malattia grave, forse inguaribile: il narcisismo.

(Per contro, tra parentesi, possiamo dire che Gesù, con i fattine fa emergere altri: essere, discendere, serviredonare).

Anche una vedova entra nel tempio e getta i pochi spiccioli che possiede. Anche lei, anzi, soprattutto lei attira la sua attenzione: lei che è vedova, povera, e getta nel tesoro pochi spiccioli.

Gesù osserva, mette a confronto e commenta, suggerendo due magisteri: quello degli scribi, teologi e giuristi importanti, e quello di una donna, vedova, povera e sola, senza difese, e fa lei maestra di vita, e di umiltà, [perché sa bene che ciò che lei è capace di dare è ben poco, ma se è tutto, affidato al Signore con fiducia, lui sa che farne: è lui che ne fa, ne sa e può fare qualcosa di grande, se crede].

Non è la prima volta che Gesù si interessa alle vedove. Nel vangelo di Lc7,11-17 si impietosisce di una madre, la vedova di Nain e guarisce suo figlio, le restituisce l’unico figlio che aveva, sostegno per la sua vecchiaia.

Ancora, in Lc18,1-8 si narra la parabola della vedova importuna, importuna perché stanca un giudice che alla fine è costretto a darle ascolto: la breve parabola è l’invito a pregare molto e con insistenza. La vedova in questo caso è anche lei maestra, del credente che con umiltà non si stanca di pregare.

Nel nostro testo, Gesù guarda con compiacimento ancora a una vedova, anche essa senza nome, definita la vedova dei pochi spiccioli che versa nella cassa del tempio tutto ciò che ha. 

Le vedove sono spesso vere protagoniste nella Scrittura. Come non ricordare Tamar, Rut, Noemi, Giuditta, la vedova di Serepta di Sidone? Esse costituiscono una categoria di persone svantaggiate. Sono persone povere, non hanno più il sostegno e sono troppo deboli per fare lavori redditizi, la forza lavoro è fonte di ricchezza, perciò la forza fisica è importante ed è lo spartiacque tra povertà e ricchezza.

 Se le vedove non hanno figli sono ancora più povere perché non hanno diritto alcuno all’eredità del marito. Certo possono sperare nella legge del levirato che impone al fratello del defunto di sposarle.

La legge ebraica, tuttavia, non le ignora, chiede infatti di prendersi cura delle vedove, come anche dell’orfano e dello straniero. Nel Nuovo Testamento la comunità primitiva cominciò ben presto ad avere cura delle vedove (cfr. At6,1; 9,39-40) e ad assisterle nei loro disagi (Cfr. Gv1,27).

La donna di questo episodio è una persona svantaggiata, povera… e offre per il tempio tutto ciò che ha, offre la sua stessa vita, si affida totalmente a Dio; non ha paura di consegnare a Lui tutto, le poche certezze che possiede. Accetta la sfida di dare tutto, la sua stessa vita per onorare Dio, che la ricompenserà.

Nel gesto della donna si stabilisce una certa continuità tra la cosa offerta, pur minima, e la vita: la donna, offrendo le sue monete, non offre solo qualcosa di sé, ma tutta sé stessa. Questa è la vera offerta, il vero sacrificio: è una offerta radicale, totale; è dire con le mani la fedeltà del cuore»[4].

Gesù infatti non bada alla quantità del dono; l’evidenza della quantità è solo illusione: ciò che vale è quello che c’è dentro i pochi spiccioli: la vita, il cuore, le lacrime, la speranza, la fede.

La capacità di dare, e dare gratuitamente anche quanto ci serve per vivere, come fanno i veri poveri, quelli in spirito, ha in sé qualcosa di divino! Ci assimila a Dio, che ha dato tutto ciò che aveva di più prezioso: la vita, l’amore, il Figlio unigenito.

Lo sa bene questa povera vedova. La sua mano dona con gesto largo, sicuro, generoso, convinto, anche se ciò che ha da donare è apparentemente pochissimo; dona con amore e l’amore vale più dei sacrifici del tempio. Ella ha interiorizzato il precetto dello Shemà e ama Dio con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze. Ciò che conta è il cuore e l’investimento di vita.

La radice della sua offerta sta nella sua fede, la fiducia; mentre dona per gli altri sa che Dio penserà a lei, nel tesoro getta pochi spiccioli, ma nel cuore del Padre mette tutta la sua vita. Possiede una fede viva che la fa vivere. La sua fede non le dà privilegi né le riempie la borsa, ma le dà la gioia di sentirsi ed essere figlia di Dio, così sicura dell’amore del Padre da donare tutto il poco che ha.

Questa povera donna diventa per noi maestra di vita. Gesù loda il suo umile gesto, e lo indica come esempio ai suoi discepoli, proprio perché è spontaneo e autentico, e insegna anche a noi oggi che Dio non giudica le apparenze, ma vede nell’intimo la bontà, la purezza, l’umiltà del cuore.

La vedova sa che, nonostante la sua offerta quantitativamente non abbia alcun valore, Dio l’ha gradita, perché è l’espressione sincera di tutta la sua fede e che le permetterà di entrare, attraverso la porta della Beatitudine dei poveri, nel Regno di Dio.

L’umile serva del Signore entra nel mistero di Dio e ottiene la salvezza. ella è povera ma, nello stesso tempo, ricca di Dio.

Poveri e ricchi siamo tutti noi, se e nella misura in cui lasciamo spazio a Dio. È lui che deve entrare nella nostra vita, prendere spazio e occupare il centro del nostro essere, dei nostri pensieri, dei nostri affetti.

Preghiera finale

Spirito di Dio che porti alla verità,
fa ricordare gli eventi della vita di Gesù.

Spirito di Dio che irrompi dentro la nostra cecità,

cammina accanto a noi,  
aprici gli occhi e il cuore per aver

il coraggio di abbandonare le paure e i dubbi che ci impediscono

di seguirti e di abbandonarci in te.

Spirito di Dio che dai vita alla parola,

donaci oggi di accoglierla con tutta la forza che
porta con sé e di non porre ostacoli
come già troppe volte abbiamo fatto con te.

Spirito di Gesù trasforma i nostri cuori troppo calcolatori e

rendili capaci di gesti e scelte audaci
 come ci hai insegnato
con il gesto della povera vedova.

O Spirito di verità donaci di riconoscere

quando il nostro cuore ti sta giudicando,

ti sta uccidendo o ti sta allontanando per paura di perdere
i nostri privilegi e progetti.    

 Tu o Signore che hai compiuto e

sai compiere tante meraviglie,

 oggi ti chiediamo di compierle anche in noi.

 O Dio, che nella tua provvidenza fai diventare

ogni nostro giorno un tempo di grazia,

per costruire insieme con te una nuova umanità,
 donaci non ciò che ci piace,
ma ciò che realizza il tuo sogno,
attraverso questa tua parola che oggi ci offri.

Ottava  meditazione del 17 ottobre 2019 (pomeriggio)

La moglie di Pilato e la donna di BetaniaL’intuito delle donne

Nei vangeli ci sono alcuni personaggi che compaiono in modo solo fugace e, anche se contano poco nella narrazione, fanno comunque parte di quel piccolo gruppo di testimoni che ha conosciuto Gesù nella sua vita terrena e che ha vissuto l’esperienza, anche se non per tutti sconvolgente, di incontrare il Figlio di Dio. Potrebbe essere interessante cogliere nei loro vissuti la novità che ha generato in loro l’incontro con il Nazareno.

Alcuni di questi personaggi, di cui sappiamo pochissimo, hanno suscitato curiosità e ispirato molti scrittori a scrivere coinvolgenti romanzi: è il caso, per esempio, di Claudia Procula, moglie di Pilato.

Elena Bono nella seconda metà del ‘900 le ha dedicato un romanzo intitolato “Il sogno di Claudia”, dove affronta il tema della crocifissione di Gesù da un punto di vista inusuale, quello di una donna che avrebbe tentato di salvare Gesù mentre gli uomini decidevano di condannarlo. 

Preghiera iniziale

Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,

non resta nella via dei peccatori

e non siede in compagnia degli arroganti,

ma nella legge del Signore trova la sua gioia,

la sua legge medita giorno e notte.

È come albero piantato lungo corsi d’acqua,

che dà frutto a suo tempo:

le sue foglie non appassiscono

e tutto quello che fa riesce bene. (Salmo 1)

Introduzione

Ho pensato di dedicare questa meditazione alla moglie di Pilato e alla donna di Betania che, come altre donne pagane, hanno incontrato Gesù e lo hanno intuito o riconosciuto come il Figlio di Dio: l’ho fatto per dare voce a figure minori, donne, che sono state testimoni e in qualche modo, dato che ne stiamo parlando anche noi, a duemila anni dalla loro esistenza, direttamente presenti nella storia della salvezza.

Queste donne hanno avuto il coraggio di esporsi, durante gli eventi tragici della storia del Nazareno, di esprimere le loro perplessità, i loro dubbi, le loro paure; manifestare vicinanza e sostegno a Gesù, tentare di salvargli la vita, [magari qualche timore c’era, ma lo hanno superato].

Nella narrazione del processo a Gesù solo Matteo menziona la moglie[5] di Pilato, come protagonista di un sogno doloroso che la induce a tentare di salvare la vita al Nazareno e convincere il marito a non condannarlo. Si tratta di Claudia Procula, una donna pagana che intuisce che Gesù è un Giusto.

 Leggiamo cosa dice Matteo.

Lettura del testo (Mt 27,15-20)

15 Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. 16 Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. 17 Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». 18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». 20 Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.

L’introduzione di un personaggio femminile nel contesto del processo romano contro Gesù di Nazareth costituisce la principale originalità del racconto matteano (Mt 27,19); tuttavia, non è inverosimile l’intervento della moglie del prefetto romano: conosciamo da fonti extrabibliche il ruolo di alcune grandi matrone negli affari della politica locale e imperiale del tempo.

Alcuni esegeti ritengono che il riferimento alla moglie di Pilato sia un’inserzione redazionale, della quale l’evangelista si serve per sottolineare il contrasto tra la donna pagana che riconosce Gesù come giusto e le autorità giudaiche che vogliono rovinarlo; e allo stesso tempo ottenere l’effetto di enfatizzare la colpa delle autorità giudaiche e sminuire la responsabilità dei Romani (v.24).

Cerchiamo di capire cosa è successo.

Mentre Pilato siede in tribunale, in piena udienza, la moglie di Pilato gli manda a dire:

«Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua».

La donna ha sognato qualcosa a proposito di Gesù, ne è rimasta molto turbata, ha capito che non è un malfattore, per questo motivo interrompe l’udienza e intercede per Gesù, “quel Giusto”.

Si comporta da vera signora, però non riesce a nascondere il turbamento che la tormenta da quando ha visto il Nazareno. Non ci è dato sapere se sia avvenuto un incontro solo in una visione o se la donna lo avesse conosciuto di persona prima del processo.

Nella tradizione apocrifa, gli Atti di Pilato 2,1 fanno di questa donna una proselita, narrano che Pilato rivolgendosi agli scribi e ai farisei dice:

“Voi sapete che mia moglie è timorata di Dio e segue con voi il giudaismo”,

Proselita o pagana, ella identifica l’imputato con “Gesù chiamato il Cristo” [come dice Pilato], con il Giusto, il Messia e chiede la sua liberazione.

Nel mondo pagano “giusto” è chi osserva le leggi dello Stato; Nell’Antico Testamento il “giusto” è l’uomo di cui Dio ha riconosciuto la pietà, “giusto” è colui che osserva la Legge, diversamente dall’empio che non vi si attiene. Gesù è giusto perché nella Legge del Signore trova la sua gioia, la sua Legge medita giorno e notte (cfr. Sal1,2). Nel Nuovo Testamento “giusto” è colui che ascolta la parola di Gesù e la mette in pratica.

Matteo all’aggettivo “giusto” dà un duplice significato: vuole dire che Gesù è innocente, giusto da un punto di vista legislativo e in quanto uomo virtuoso, ma è giusto anche perché è il Messia.

Utilizza la metafora del sogno che nella Bibbia è una forma di comunicazione tra Dio e gli uomini: basti pensare al sogno di Giacobbe (AT) e al sogno di Giuseppe (NT). Nel sogno Dio mostra la verità togliendo il velo che impedisce agli uomini l’accesso alla vera realtà.

Nel sogno di Claudia Procula perciò c’è più realtà di quanta se ne possa trovare nel governo di questo mondo. Il mondo privo di sogni è simboleggiato dai sommi sacerdoti e dagli anziani, i quali sono completamente ciechi a non riconoscere in Gesù il Messia. La loro coscienza non è scossa dal prezzo del sangue che la giustizia esige.

La donna comprende che quell’uomo Gesù è il Messia e sa che la sua uccisione è un’azione iniqua, ecco perché il “giusto” deve essere salvato. Ella vuole salvare Gesù, ma vuole salvare anche il marito dall’iniquità del male.

Ama suo marito, lo mette in guardia e vuole che egli agisca secondo giustizia, desidera che egli sia libero da qualsiasi tipo di condizionamento. Pilato, purtroppo, non la ascolta, perché il pregiudizio dei capi della sinagoga conta di più dell’intuizione e della visione di una donna.

In questo momento non ci interessa capire le motivazioni che hanno spinto Pilato ad agire accondiscendendo alla volontà dei capi del popolo di Israele; a noi preme sottolineare innanzitutto il carattere del tutto marginale in cui apparentemente rimane incastonato l’intervento di questa donna: la sua voce non è ascoltata, anzi la sua voce è ritenuta senza alcun valore.

Siamo in un tribunale, in un luogo dove si manifesta il potere e si esercita la giustizia. Qui solo i maschi possono intervenire; qui essi devono assumersi una responsabilità che è loro propria, non delegabile alle donne. Che hanno a che fare sogni di donne con la dura realtà di questo mondo?

Questa domanda esprime uno stereotipo che è ben lungi dall’essere superato: Baruch Spinoza, filosofo di origine ebraica vissuto nel 1600, nel suo Tractatus theologico-politicus[6] afferma di nuovo che le donne sono escluse dalla vita politica in quanto, per natura, non hanno le qualità d’animo essenziali ad essa e sostiene che l’uguaglianza tra uomini e donne è un gran danno della pace.

In realtà la concezione di Spinoza non è condivisa dalla Bibbia, né ebraica né cristiana. La Bibbia conosce e afferma l’esigenza del diritto e della giustizia, ma non toglie alle donne la forza d’animo e la qualità di spirito che sono qualità necessarie per esercitare il diritto nella società.

Edith Stein, filosofa e monaca (1898-1942), di estrazione ebraica e di formazione fenomenologica, vissuta in un periodo in cui le donne avevano incominciato a far udire la loro voce, rivendica il diritto delle donne di essere protagoniste nella vita sociale, ecclesiale, culturale, politica.

Secondo la Stein non c’è alcuna professione che la donna non possa esercitare. Nessuna donna è solo donna. Ciascuna ha le proprie inclinazioni e i propri talenti naturali, come gli uomini e questi talenti la rendono atta alle varie attività professionali, non solo femminili ma anche a quelle, per consuetudine, ritenute propriamente maschili[7].

Non solo la moglie di Pilato, nei vangeli, prende parte agli eventi della passione di Gesù, ma anche altre donne, per esempio Maria Maddalena e la donna di Betania, che unge il corpo di Gesù con l’unguento profumato (Mc14,1-9).

Leggiamo il testo che la riguarda:

Mc 14,1-9

1 Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. 2Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».

3Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. 4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.

6Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto»

La donna innominata di Betania[8] che si precipita nella casa di Simone il lebbroso, dove Gesù è seduto a tavola insieme ad altri commensali, rompe il vaso di alabastro e versa il nardo profumato sul capo di Gesù. Il suo gesto per Gesù è eloquente: rivela l’intuito della donna, l’unica che capisce cosa sta per accadere.

Il nardo era un profumo di qualità eccellente, estratto di una pianta aromatica dell’India; la donna di Betania versa il profumo in modo abbondante e in fretta. Ella “sa” che non c’è più tempo da perdere, che lo spreco enorme[9] del profumo sul corpo di Gesù è in realtà un gesto profetico: non ci sarà poi il tempo di compiere le rituali abluzioni e purificazioni del corpo di Gesù condannato a morte.

Per Marco il gesto di questa donna sarà ricordato sempre: “dovunque sarà proclamato il vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto”.

La donna di Betania vede come in un sogno quale sarà la conclusione della passione di Gesù: intuito femminile o capacità di un’attenta analisi dei fatti? La capacità di leggere gli eventi e di prevedere gli sviluppi futuri è una qualità di questa donna che condivide le vicende tra Gesù e il suo popolo senza distrazioni e con piena consapevolezza.

Moltmann commenta il gesto della donna senza nome di Betania e scrive:

«Così la sconosciuta è contemporaneamente una profetessa che unge il Messia, lo consacra e lo prepara per il suo compito. Questa è una doppia frattura con la tradizione dei padri: il re è un candidato alla morte, Israele è occupato da un esercito straniero, e una donna senza nome prende su di sé il ruolo degli ‘uomini di Giuda’ (2Sam2,4). Si annuncia un tempo nuovo, nel corso del quale gli antichi valori vengono rovesciati»[10].

 Anche ai piedi della croce, la donna di Betania e insieme a lei altre donne (Mc15,40-41) non perdono il contatto: le uniche a restare, a partecipare fino all’ultimo momento alla passione e morte di Gesù.

Le donne presenti alla storia della passione e la moglie di Pilato apparentemente sono marginali, silenziose, invisibili. In realtà, esse sono nel cuore della verità del mondo perché la loro coscienza rimane vigile, risvegliata, aperta al nuovo della fedeltà a sé stesse.  Le loro vite non sono forse moralmente ineccepibili, come sappiamo dai vangeli, ma esse sanno che cosa hanno vissuto insieme con Gesù e non sono disposte a rinnegare il loro cuore, né i sogni nati da questo incontro con il Signore. Per questo sono le uniche nella storia della passione che capiscono e che, ancora più decisivo, nella barbarie rimangono persone umane, con la coscienza vigile verso il bene.

Anche nella passione dell’essere umano quante donne contribuiscono silenziosamente!  Affidiamole allo Spirito Santo, mentre ci confermiamo ciascuna nella propria vocazione.

Preghiera finale

Madre senza tempo

Dai mille volti soavi

Rinnovi l’amore

Elargito nei secoli.

Non hai parole

Ma occhi di pietà

Per noi stanchi peccatori

Persi nelle umane suppliche.

Regina di carità

Prediletta custode

Di gioie eterne

Fa’ che l’impenetrabile velo

Si squarci

Che la luce divori le tenebre

E sia nel tuo trionfo

Il nostro retaggio

Così che il mondo

Possa ancora sorridere

Nel tiepido mattino d’amore.    (Giulio Redaelli)


[1]30 Ogni decima della terra, cioè delle granaglie del suolo e dei frutti degli alberi, appartiene al Signore: è cosa consacrata al Signore. 31 Se uno vuole riscattare una parte della sua decima, vi aggiungerà un quinto. 32 Ogni decima del bestiame grosso o minuto, ossia il decimo capo di quanto passa sotto la verga del pastore, sarà consacrata al Signore. 33 Non si farà cernita fra animale migliore e peggiore, né si faranno sostituzioni; qualora però avvenisse una sostituzione, entrambi gli animali diverranno cosa sacra: non si potranno riscattare.

34 Questi sono i comandi che il Signore diede a Mosè per gli Israeliti sul monte Sinai. (Lv27,30-34).

[2] 22 Dovrai prelevare la decima da tutto il frutto della tua semente, che il campo produce ogni anno. 23Mangerai davanti al Signore, tuo Dio, nel luogo dove avrà scelto di stabilire il suo nome, la decima del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio e i primi parti del tuo bestiame grosso e minuto, perché tu impari a temere sempre il Signore, tuo Dio. 24Ma se il cammino è troppo lungo per te e tu non puoi trasportare quelle decime, perché è troppo lontano da te il luogo dove il Signore, tuo Dio, avrà scelto di stabilire il suo nome – perché il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto -, 25allora le convertirai in denaro e, tenendolo in mano, andrai al luogo che il Signore, tuo Dio, avrà scelto 26e lo impiegherai per comprarti quanto tu desideri: bestiame grosso o minuto, vino, bevande inebrianti o qualunque cosa di tuo gusto e mangerai davanti al Signore, tuo Dio, e gioirai tu e la tua famiglia. 27Il levita che abita le tue città, non lo abbandonerai, perché non ha parte né eredità con te.

28 Alla fine di ogni triennio metterai da parte tutte le decime del tuo provento in quell’anno e le deporrai entro le tue porte. 29 Il levita, che non ha parte né eredità con te, il forestiero, l’orfano e la vedova che abiteranno le tue città, mangeranno e si sazieranno, perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in ogni lavoro a cui avrai messo mano.

[3] 1Ai figli di Levi io do in possesso tutte le decime in Israele, in cambio del servizio che fanno, il servizio della tenda del convegno. 22Gli Israeliti non si accosteranno più alla tenda del convegno, per non caricarsi di un peccato che li farebbe morire. 23Ma il servizio nella tenda del convegno lo faranno soltanto i leviti; essi porteranno il peso della loro colpa. Sarà una legge perenne, di generazione in generazione. Non possederanno eredità tra gli Israeliti, 24poiché io do in possesso ai leviti le decime che gli Israeliti preleveranno come contributo per il Signore; per questo ho detto di loro: Non avranno possesso ereditario tra gli Israeliti.

25 Il Signore parlò a Mosè e disse: 26 Parlerai inoltre ai leviti dicendo loro: Quando prenderete dagli Israeliti la decima che io ho dato a voi da parte loro come vostra eredità, preleverete un’offerta come contributo al Signore: una decima dalla decima. 27 Il vostro prelevamento vi sarà calcolato come quello del grano che viene dall’aia e come il mosto che esce dal torchio. 28 Così anche voi preleverete un’offerta per il Signore da tutte le decime che riceverete dagli Israeliti e darete al sacerdote Aronne l’offerta che avrete prelevato per il Signore. 29 Da tutte le cose che vi saranno concesse preleverete tutte le offerte per il Signore; di tutto ciò che vi sarà di meglio preleverete la parte sacra. 30 Dirai loro: Quando ne avrete prelevato il meglio, quel che rimane sarà calcolato per i leviti come il provento dell’aia e come il provento del torchio. 31 Lo potrete mangiare in qualunque luogo, voi e le vostre famiglie, perché è il vostro salario, in cambio del vostro servizio nella tenda del convegno. 32 Dal momento che ne avrete prelevato la parte migliore, non sarete gravati da alcun peccato; non profanerete le cose sante degli Israeliti e non morirete. (Nm18,21-32).

[4] Cfr. L. Bruni, La fede che converte il denaro, in Avvenire del 20.1.2019.

[5] Il Nuovo Testamento non dice altro di questa donna. La successiva tradizione cristiana la ricorda come Procula o Procla o Claudia Procula. La chiesa orientale ortodossa e quella etiope, inoltre, la riconoscono come santa, la cui festa cade rispettivamente il 27 ottobre ed il 25 giugno. Esistono perfino delle presunte Lettere di Procula, scoperte in un monastero belga a Bruges e conservate negli archivi del Vaticano; anche i Vangeli Apocrifi ne parlano.

Il Vangelo di Nicodemo, in particolare il Papiro Copto di Torino, riporta per grandi linee quanto possiamo leggere nel Vangelo secondo Matteo, ovvero che, mentre Pilato siede in tribunale, sua moglie gli invia un messaggero per intimargli di non avere a che fare con quell’uomo giusto.

Da quanto appena affermato sembrerebbe che non si tratti di una semplice pagana, ma di una pagana che si sta convertendo. Nel cosiddetto Ciclo di Pilato, inoltre, nella sezione dedicata alla corrispondenza tra Pilato ed Erode, Pilato stesso scrive su quanto accaduto dopo la crocifissione e la morte di Gesù. La sposa Procla, insieme al fedele centurione Longino, che è stato di guardia presso il sepolcro, vedono proprio Gesù in un campo intento ad insegnare alle folle. I due addirittura colloquiano con il Risorto, il quale li invita a non essere più increduli, annunciando loro il Disegno del Padre.

[6] Il trattato è uscito anonimo nel 1670 a Amsterdam.

[7] Cfr. E. Stein, La donna, Città Nuova, 1999, pp.56-57.

[8] Qualcuno la identifica con Maria sorella di Lazzaro, altri con Maria Maddalena.

[9] Lo spreco del profumo è anche una risposta all’amore smisurato di Gesù.

[10] E. Moltmanna-Wendel, Le donne che incontrò Gesù, Queriniana, 1993, p.108.